sabato 19 settembre 2009

Lettera di Gerardo Grifo

Sabato XX marzo XXXX

Non mi chiedo in questo momento se scriverti sia la cosa giusta o meno: così accade, ogni muro è abbattuto, sebbene con la prudenza obbligatoria; nel caso opportuno, potrei anche decidere di non inviare mai questa lettera.
I giorni si rotolano l’uno addosso all’altro e, per carità del caso, ci si può comunque prendere alcuni minuti per abbandonarsi innocentemente fra le fusa del passato.
Qualche anno addietro, questi sarebbero stati i giorni in cui le mie energie sarebbero state profuse per te tutte. E’ bene tenerlo a mente, senza tardigrade romanticherie: ma non posso fare a meno, passando fra le trame delle stagioni, di soffermarmi seppur per un istante qui, semplicemente per un battito di ciglia carico di silenzio, carico di tempo. Il tempo. Scorri le mie righe e ti sentirai travolgere da esso, in ogni caso. Che tu avverta un confuso ritorno di sensazione per il riconoscimento di una grafia, o che non riesca a provare nulla se non un poco d’imbarazzo – ebbene: è sempre il tempo che ti vibra dentro, con i suoi modi un po’ forti.
Eppure non è mio desiderio parlarti come voce del passato. Dico solo che per certi versi, non può che esser così, involontariamente. Questo “passato”, questa parola buia ma dalle immagini più accese di quelle che vediamo ogni dì – poiché le viviamo, non le vediamo solo: in qualche modo, talvolta, le “siamo”, quelle immagini, ci hanno “costruito” – a te ha sempre dato molto fastidio. Hai voluto, per il tuo bene, rinnegarlo, e non so se solo con me. Ma di me conosco i fatti, e mi tengo a questi. Quindi perdonami se talvolta non ho fatto che riportarti a mente qualcosa che non volevi rivedere o rivivere. Perdonami anche ora, se provi fastidio. Ma come puoi vedere, io, qui, finisco là dove finisce questa lettera. Del resto un po’ ti comprendo: tu con me tagliasti un albero da te cresciuto. Io soffrii per i miei rami, per il mio tronco. Ma tu perdesti quel poco d’ossigeno che ti donavo. Come potermelo restituire in parole?
Il dolore mi fece uomo e mi portò per larghe vie, che tutt’ora s’intrecciano per la mia vita, molto più complessa di allora, quell’allora tuttavia non per questo rinnegabile. Vedi, rinnegare il passato si può fare, ma ci vuole un forte senso d’irrealtà, e anche un buon mestiere nel creare. Ci può aiutare in un primo tempo a sopravvivere ai nostri errori, alle nostre paure, poi a vivere, quando l’orgoglio l’ha più lunga della memoria.
E, via, t’auguro che t’accada bene! Mi auguro che finalmente tu possa convivere meglio con quel gracile istante del mio ricordo – e non perché serve a me: innanzitutto perché ti serva a leggere queste gonfie righe.
Dimenticami di più, se ti serve a ricordarmi meglio! Se ti serve a potermi dire “ ciao e buona vita” una volta l’anno, come si conviene a due figli della Natura che una volta nelle loro vite, chissà perché, hanno condiviso l’abitazione di un arcobaleno ormai rarefattosi.
Le vie in pietra della città che un tempo pareva solo nostra si stanno rapidamente scurendo, mentre l’insonnia di cui s’ammala l’aria non rende giustizia ai nostri antichi tentativi di farla esplodere dei nostri nomi. Se n’è fuggita con te ogni prospettiva dei palazzi che accarezzavamo stringendoci per mano, che ora paiono coinvolti solo dagli affari degli uomini e delle donne senza cura e debolezze. Penso a me e te insieme e sempre più assomigliamo ai volti dei passanti consueti della nostra Via dei Priori e che invece, ora, non fanno che parlarmi di te, zitti e un poco invecchiati, ogni volta che li incontro in sguardi repentini e densi, con cui pare di averci nel silenzio una confidenza assoluta.
Ma in petto mio una fortuna è innamorata di questo addio impossibile che di volta in volta viene sciolto come un lungo fiume dalle nature che noi ignoravamo. Forse perché sono la casa delle nostre possibilità passate, ora confuse con ciò che ci ha separato.
L’ignoto si inventa complice del mistero della nostra unione e gioca con le paure che abbiamo gettato e donato al vento con noi stessi.
Il passato è becero nei lamenti e nei ghigni: è Bellezza nella sorgente delle lacrime e nelle fiamme dei sorrisi.
Un saluto rinnovato sempre e comunque è Eternità.

Gerardo Grifo

giovedì 1 gennaio 2009

Appunti sull'amicizia e la passione

Vado in cerca di una comunione di spiriti eletti
vado in cerca di una scommessa fiorente di vita e virtù
sulle nostre sorti tragiche e segnate
un appello sentito e mai risentito
contro ogni forma di vecchiezza

ripudio ogni altra età oltre la mia - così parla la più forte vividezza spirituale
ma non mi basto mai e qualunque uomo è ponte fra io e me

contro l'assecondare i soli propri gusti
ma sì ravvivare le inclinazioni
e far diventare gusti le proprie inclinazioni stesse

ambire a forme di unione fra menti e corpi dove solo grandi risa e grandi parole
evitino il prosciugarsi della dotta ignoranza connaturata ad ogni giovane

elemento esplosivo contro ogni credenza o nientità della riflessione

se non si è disposti in amicizia a giungere al tripudio della prima persona plurale
l'essere-per-la-morte non trova linfa per sublimarsi ma solo solca la strada verso di sé
annoiata pure della sua mortalità
se non si ha la forza di ambire all'impossibile nelle relazioni
si declassa tutto il potere di uno scetticismo dolorosamente conquistato
e la mortalità perde il suo nobilissimo sapore

senza passione non c'é Eros fra anime e senza erotismo
l'individuo non si individua
in un disegno di armonie

e tutto assume il colore spento di un sogno senza respiri

se non si dubita del proprio scetticismo si diventa il nulla così come abbandonandosi a dottrine

il dubbio dell'amico dev'essere fonte di dubbio verso i propri dubbi

perché "solo fra spiriti dediti a consolidare le proprie perplessita' il dialogo è fecondo"

e solo la spoliazione dai propri convincimenti nobilita la vita .

venerdì 26 dicembre 2008

a integrazione dell'articolo qui sotto - "come un Icaro in fiamme"

Eros si misura con Kronos e nella sconfitta più letale, canta l'ode alla sua furtività, unica sua vittoria da sempre acquisita. Nel perdere peso in terra, patria del Tempo, s'invola verso il sole.

Come un Icaro in fiamme


EROS : Mi ritrovo ingannato fra le schegge del tempo
dal malsano mio trasporto verso un passato che mi attende
ogni volta che al pensiero richiamo le gioie cieche
dei nostri destini da sempre scissi.
Io Eros conobbi il destino, per poi misconoscerlo grandemente
Da quando son diventato voi, da quando sono diventato Uomo.

KRONOS: L'amore è la bestemmia contro il destino ! Cos'altro sei?

EROS: io sono la fantasia del vento
un bacio è la gloria del secondo
la fortuità dell'ineluttabile
l'esimersi di un istante dal suo senso
la redenzione del sensuale
la stupidità della meraviglia
il colore della vita
il guasto della promessa, la frattura della seduzione
la vera forza del mondo -

Tu, Kronos, sei la misura di ciò che di me ti sconvolge! Ogni religione nasce dal superamento del Bacio. Ogni intelligenza nasce come stupidità verso lo stupore.
Ogni dottrina nasce come dolore dell'amare.
L'amore come libertà delle ali dall'angelo -

Al sol mi volgo come un Icaro in fiamme.


lunedì 15 dicembre 2008

La natura e l'amore fra silenzi e solitudine. Turbamenti di Carducci a confronto

Discostarsi per un momento dall'amato, dalle peripezie e dalle fantasie contingenti e sospendere per breve tempo tutta la propria partecipazione è possibile, a patto che si ritenga la Natura come quello specchio eterno che possa in qualche modo sospirare verità stringenti.
Ogni amore è di certo un cammino, come del resto ogni cammino è un lasciarsi dietro qualche cosa che si ama.

Innanzi, innanzi. Per le foscheggianti
coste la neve ugual luce e si stende,
e cede e stride sotto il pié: d'avanti
vapora il sospir mio che l'aer fende[...]
(notte d'inverno)

Tutto ciò che appare non è incontro. Se solo ci si sofferma per un istante su quel che vuol dire "presente" al di fuori di sé, al di fuori del proprio amare, la natura pare sempre crudele.


Ogni altro tace. Corre tra le stanti
nubi la luna sul gran bianco e orrende
l'ombre disegna di quel pin che tende
cruccioso al suolo informe i rami infranti[...]
(notte d'inverno)


La Natura parrebbe rispondere con silenzi:, ma sia la luna che le ombre cospirano affinché nulla tranquillizzi l'amante, mostrandogli i rami infranti come un malaugurio. Le proiezioni di ciò che si spezza, che si annulla in Natura non sono mai per il cuore dell'amante solo visioni di qualcosa che perisce, ma anzi qualcosa di eternamente vivo che eternamente si mostra come spezzato.

[...]Ed emerge il pensier su quei marosi
naufrago, ed al ciel grida: o notte, o inverno,
che fanno giù ne le lor tombe i morti?
(notte d'inverno)

L'amante giunge fino al pensiero sui morti. Fallita la via che mostrava sottilmente la via dell'eternità. Umano è il suo rapporto con la natura e umano rimane il suo rapporto con ciò che pare si spezzi. Senza alcuno scrupolo pretende di sapere dalla Natura cosa finisca, ma anche cosa sorga. In Carducci questo emerge in maniera eminente, quando uniamo Notte d'inverno con Panteismo:

[...]Io mai no 'l dissi: e con divin fragore
la terra e il ciel l'amato nome chiama,
e tra gli effluvi de le acacie in fiore
mi mormora il gran tutto - Ella, ella t'ama.
(Panteismo)

Tutto diventa dio, quando la Natura suggerisce lo splendore. Ma che lo splendore suggerito sia pari all' "amato nome", ovvero all'oggetto del proprio amore, è pur sempre un artifizio umano. La natura suggerisce ogni via e ogni coloritura degli essenti, ma non necessariamente rimanda l'uno all'altro. Nella nostra esperienza possiamo sì appellarci in poesia alla Natura per celebrare l'amato, ma pur sempre è da ricordare quanto enigma riposi nella Natura stessa e quante amorevoli pitture applica il nostro immaginario: ella, come una Monna Lisa ancor meglio dipinta, ha nel sorriso la luce dell'alba e del tramonto.
In un istante ogni cosa potrebbe sorgere come spegnersi senza che propriamente né l'una né l'altra cosa accada.

mercoledì 3 dicembre 2008

L'insostenibile leggerezza di Milan Kundera

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L'intellettuale stanco, che non ha voglia né interesse di prestare attenzione più a nessuna cosa, l'intellettuale che per qualche mese che si è lasciato con la ragazza a vent'anni ha letto qualcosa di Nietzsche e ha ben pensato di avere fra le mani un buon motivo per non spararsi, sebbene con l'atteggiamento di chi, se avesse la pistola al posto della sigaretta appoggiata alla più esistenzialista delle pose, non cambierebbe di una virgola la sua espressione. L'intellettuale per cui tutto questo è curriculum e ogni cosa da dire a mezza bocca è permessa, o perlomeno, una verità più grande di qualsiasi altra, proprio perché sorniona. Il sogno di essere un sociologo francese mai esaudito, insomma, o un comunista disilluso (o illuso?).
L'insostenibile leggerezza di Milan Kundera, autore de l'insostenibile leggerezza dell'essere (1982) è quella che lo porta ad aprire il suddetto romanzo esponendo l'eterno ritorno nietzschano come una sorta di ricorrenza calendariale; Lowith, Heidegger e Deleuze mettono doppia chiusura al loro sepolcro.
E' tutto riassunto nell'incipit, lo strazio della filosofia sotto la matita del cecoslovacco:

"Parmenide vedeva l'intero universo in coppie di opposizioni[...] uno dei poli dell'opposizione era per lui positivo[..] l'altro negativo. Questa suddivisione in un polo positivo e in uno negativo può apparirci di una semplicità puerile. Salvo in un caso: che cos'è positivo, la pesantezza o la leggerezza?Parmenide rispose: il leggero è positivo, il pesante è negativo. Aveva ragione oppure no?".

Pardon, ma questo periodo è una sequenza di validi motivi per un voltastomaco inesauribile.
Posto che la lettura di Parmenide è qui di una banalità rivoltante, è anche evidente che l'attenzione per l'essere da parte di Kundera si ferma al momento in cui intende usarne la parola nel titolo. Inoltre: la suddivisione fra polo positivo e negativo sarebbe "puerile", mentre l'unica cosa che conterebbe è se Parmenide abbia "ragione o no"? Questo uso della filosofia alla "pari e dispari" fra due ebeti fanciulli non può funzionare in genere, figuriamoci con Parmenide. Platone impiegò una vita filosofica a discutere Parmenide; Kundera in un passo a pagina 14 vuole risolvere in un un solo "interessante" dualismo il Sentiero del Giorno, l'eternità dell'essere, il fondamento dell'ontologia e tutto il "peso" del Sulla Natura del povero filosofo eleate.
Bene, sino a qui, almeno, abbiamo di che divertirci con il nostro dissenso. Ma il gusto del negativo si rattrappisce un solo secondo dopo, quando, con estrema nausea, leggiamo l'immediato proseguimento della stessa pagina su Parmenide:

"sono già molti anni che penso a Thomas[...] aveva incontrato Tereza per la prima volta circa tre settimane prima in una piccola città della Boemia[..]"

I poli negativi e positivi in Parmenide e poi... Tereza e Thomas?
Assistiamo a questo gioco di isignificanti reportage degli amori fra questi personaggi cecoslovacchi e viaggi fra Praga e Zurigo almeno fino a pagina 40, dove Kundera si risveglia dal torpore dei suoi racconti insipidi e stancanti dando, come risposta al grande problema su Parmenide posto tante pagine prima, una risposta sollevante: " a differenza di Parmenide, per Beethoven la pesantezza era a quanto pare qualcosa di positivo". Il dilemma ontologico parrebbe teoreticamente risolto con questa incontrovertibile verità Kunderiana. Ma l'autore, nella stessa pagina, fa professione di inimmaginata onestà:

"L'allusione a Beethoven era in realtà per Thomas un modo per ritornare a Tereza".

Lo sconforto. E la nostalgia per tutto che non accenni alla filosofia nel romanzo. Proseguendo, la grettezza filosofica di Kundera si deterge, nell'amato viaggio fra gli amori perplessi di Thomas (che ama Tereza), Tereza (che ama Thomas), Franz (che ama Sabina) e Sabina che ama Franz, anche se con l'interessante scarto di qualche mese di stop.
Ma ecco che a pagina 252 ci troviamo di fronte al pericolo di imparare qualcosa di più della filosofia, quando il grande Giovanni Scoto Eriugena viene originalmente ricordato non per le quattro divisioni dell'essere divino, non per la riflessione su fede e teoresi, non per il discorso sulla libertà umana ma per..."la merda" :

"Nelle considerazioni di Scoto Eriugena possiamo troare la chiave di una sorta di giustificazione teologica della merda. Gesù non defecava. [...] nella terza parte di questo romanzo ho raccontato di Sabina in piedi seminuda e con la bombetta in testa accanto a Thomas vestito. Ma c'è una cosa che ho taciuto. Lei[..] immaginò che Thomas la mettesse a sedere così com'era, con la bombetta, sulla tazza del gabinetto, dove lei liberava i propri intestini in sua presenza. Gettò Thomas sul tappeto e già urlava dal piacere".

Potremmo citare l'importanza di Descartes per la vita delle mucche nelle stalle a pagina 294, ma quanto è meglio fermarsi qui?
Il sapere bislacco, lo scrivere uterino e "originale" di chi ha vissuto il novecento come un grande "rutto" della cultura, dove il suono è culla e la digestione vendetta: tutto è possibile, quando ami Dostoevskij e Nietzsche al punto da non curarsi minimanente di ricordarne il senso; l'insostenibile leggerezza dell'essere è a tutti gli effetti uno dei più deleteri sprechi di inchiostro della storia della parola - guai dire pensiero - come del resto ogni romanzo attratto dalla filosofia per quel che basta a un titolo o a una didascalia; è forse per questo che l'uomo e la donna di pensiero innocente e inebetito recita spesso, alla domanda sulle proprie letture: "mi è piaciuto molto l'insostenibile leggerezza dell'essere", come se da questa confessione l'interlocutore dovesse trarre un sintomo di profondità dalla coraggiosa dichiarante.

Ma per carità.



p.s. da notare un'opera postmoderna ( in foto) con cui il pittore torinese Roberto Saporito (in foto) ha inteso in maniera altrettanto saporita il libro sinora citato.

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mercoledì 22 ottobre 2008

Ascoltare queste parole alla rinfusa rigorosamente con Positively 4th street di Dylan in sottofondo.




My smiles get their energy from october's beautiful decadence I got my mind set on never

-lived circumstances I got too many nights on my shoulders I'll never be able to

apologize for that - I really need a trip in the possibilities of the world gotta get a

life gotta joke with friends gotta feel what I need like a free decision while I know

It's not like that but who cares life's for makin' mistakes - happiness in cups and foggy

eyes 'round the bar are platinum satisfactions for days made of stone the new adventure

for everyone might be admitting everyone's limits but I think no one will ever do it in

public as there are too many public appearances, so many that we can't even afford the

minimum of fame we deserve there are no more houses only homes in this net game - they

called it myspace and now all we got is a screen page who longs to possess us through

millions of illusions and I feel quite ironic 'bout that we didn't want human slavery

anymore now the conquest is to be dominated by our desires and I find it really

interesting everybody must get possessed 'cause even god is possessed by our words which

are all stupid.

Questa metà d'ottobre fra notizie e idiozie a colori emana in noi le peggiori chiavi di

lettura per il futuro/ un futuro che non tarda mai ad arrivare/come i nostri aggeggi

grigi e potenti vogliono/ in fondo non è solo questo il motivo per cui ci potremmo

innervosire /le frenesie degli architetti della scemenza ci attaccano in tv /e senza

alcuna storia né gloria accettiamo con gaudio la nostra passività mentre il fetente di

turno si professa amante di valori tradizionali/ mentre mancano 40 secondi ai consigli

per gli acquisti per il popolo dell'intelligenza condivisa/ della macchia oliata della

demografia senza alcuna passione ma pur sempre multiculturale / e mentre l'emancipazione

di forme umane bistrattate si dipanano nella nostra nuova, moderna coscienza

dell'importanza del gay piangente,del viola in faccia e del sesso alla finestra/ ci

sarebbe da chiedersi chi altri e altro busserà alla porta del prossimo reality per fame

dell'applauso facile e scrosciante, aneuronale in cui ben si rappresenta la nostra

società dello stupore circonciso/ in cui ogni stupore altro non è che la soddisfazione di

desideri di plastica/ esiti del mal di pancia di una civiltà dal sangue febbrile e

prosternato/ di una società che ha mangiato benessere e morte con troppa fretta.

la fin est presque loin mais tout les affections humaines que nous avons sont

silencieusement desesperée.

venerdì 3 ottobre 2008

auguri di creatività per chi la cerca

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(Magritte, la condizione umana)

Perché ogni nostra esperienza della realtà è condizionata da ogni nostra prospettiva, da ogni nostra speranza, da ogni nostro senso della bellezza. Dietro alla tela dipinta dalla nostra facoltà di creare può esistere (e non lo sappiamo) o la coincidenza con la nostra previsione, o la totale differenza (una distesa di cemento) o un diversità, seppur bella, da noi non percepita.
Importante rimane sempre creare quella tela, anche se fallace, poiché il semplice sguardo fuori dalla finestra non basta ai cuori più impetuosi e mossi.