venerdì 29 febbraio 2008

La "divina inutilità" del filosofo

Da Aristotele, passando per Schopenhauer, Nietzsche e Heidegger e giungendo a Carabellese, è notevole l'excursus del definire la filosofia come riflessione sull'essere sub spaecie aeternitatis, in cui inevitabilmente emerge l'inutilità del filosofo nei confronti dellla sua epoca, in un rapporto con la storia da parte di questi a metà fra messa fra parentesi e indissolubile problematizzazione.

ottimo proprio il Carabellese, quando, intendendo la natura del filosofo alla stregua della sua "divina inutilità", dice: "egli n0n ha mai nulla di specifico da dire, ha sempre qualcosa da dire a tutti. Qualcosa che però non insegna nulla, che non indirizza affatto,qualcosa di inutile...il filosofo adunque non dà consigli, non detta norme, non cura mali, non solleva dolori". La vicinanza alle parole di Aristotele "Proprio perchè scissa dal suo rapporto con l'utilità la filosofia è il sapere più nobile" è palese. Heidegger sostiene che la filosofia "non giova ad effettuare alcun successo, perchè non ha bisogno dell'effetto", Nietzsche assevera che il filosofo è "il freno della ruota del tempo". Il carattere profondamente inattuale che accompagna la vicenda del filosofo nel tempo lo pone al di sopra di esso, da dove lo spettacolo del divenire denuda il suo telaio di fenomeni, ognora dileguantisi dal cerchio dell'apparire della realtà. La filosofia della storia, in questa prospettiva, è un sapere che non può essere emendato dalla faciloneria della critica filosofica della seconda metà del '900. Non è un caso che, nell'età della tecnica, anche il filosofo sia stato sottoposto al vaglio dell'utilità - e che il presunto e mai ben argomentato messaggio funebre sulla morte della filosofia della storia da parte dei filosofi stessi (rinchiusi nel loro "pensiero debole") abbia legato ad essa una stagione di scarsa fama. Orbene mi vien da dire:non importa se mettiamo fra parentesi la storia, noi filosofi d'oggi - se solo così possiamo prendere la rincorsa per vederla, questa storia! Nelle parentesi è sempre racchiusa una verità che si tace e che seduce. Siamo semmai nell'epoca- grazie ad autori come quelli prima citati - della filosofia sulla storia, della sinottica dell'essere sul divenire. Possiamo ancora parlare di post-histoire ?

2 commenti:

harno ha detto...

La socetà non trova più ragione sui significati più profondi; ma non credo che questo sia il vero problema, e credo che nemmeno un tempo si sforzasse più di tanto. Il vero problema è l'ocupazione...il lavoro distrugge le menti. Le persone (quasi tutte)si arrogano il fato che il lavoro non solo li faccia guadagnare ma li renda oltremodo occupati dal...diversamente non far nulla,in una eventuale possibilita di poter non fare nulla. Sia ben chiaro! non sono un discoccupato, (sono un commesso di ferramenta!!)anche se quando l'ho ero stavo decisamente meglio è non mi vergognvo d'esserlo, ma ascoltando centinaia di persone al giorno dove il problema principale, sembra essere solo ed esclusivamente il lavoro...mi rendo sempre più conto che la società si sia davvero persa in questo finto problema. Il mio discorso vuole essere solo un semplice sfogo...ninte di più. Perchè quando sento discorsi del tipo: Senza far nulla mi annoio...quindi preferisco lavorare!! capisco senza ombra di dubbio che il fallimento dell'uomo stia proprio nella sua icapacità non sana e libera di pensare,nella sua inculcata cristianita forzata fin dall'infanzia. Fine dello sfogo. Grazie. Harno

Simonfrancesco Di Rupo ha detto...

Caro Harno, ascolto il tuo sfogo volentieri e ti consiglio di cercare da qualche parte Carmelo Bene parlare del "lavoro". Troverai diverse convergenze con il tuo spunto.