venerdì 26 dicembre 2008

a integrazione dell'articolo qui sotto - "come un Icaro in fiamme"

Eros si misura con Kronos e nella sconfitta più letale, canta l'ode alla sua furtività, unica sua vittoria da sempre acquisita. Nel perdere peso in terra, patria del Tempo, s'invola verso il sole.

Come un Icaro in fiamme


EROS : Mi ritrovo ingannato fra le schegge del tempo
dal malsano mio trasporto verso un passato che mi attende
ogni volta che al pensiero richiamo le gioie cieche
dei nostri destini da sempre scissi.
Io Eros conobbi il destino, per poi misconoscerlo grandemente
Da quando son diventato voi, da quando sono diventato Uomo.

KRONOS: L'amore è la bestemmia contro il destino ! Cos'altro sei?

EROS: io sono la fantasia del vento
un bacio è la gloria del secondo
la fortuità dell'ineluttabile
l'esimersi di un istante dal suo senso
la redenzione del sensuale
la stupidità della meraviglia
il colore della vita
il guasto della promessa, la frattura della seduzione
la vera forza del mondo -

Tu, Kronos, sei la misura di ciò che di me ti sconvolge! Ogni religione nasce dal superamento del Bacio. Ogni intelligenza nasce come stupidità verso lo stupore.
Ogni dottrina nasce come dolore dell'amare.
L'amore come libertà delle ali dall'angelo -

Al sol mi volgo come un Icaro in fiamme.


lunedì 15 dicembre 2008

La natura e l'amore fra silenzi e solitudine. Turbamenti di Carducci a confronto

Discostarsi per un momento dall'amato, dalle peripezie e dalle fantasie contingenti e sospendere per breve tempo tutta la propria partecipazione è possibile, a patto che si ritenga la Natura come quello specchio eterno che possa in qualche modo sospirare verità stringenti.
Ogni amore è di certo un cammino, come del resto ogni cammino è un lasciarsi dietro qualche cosa che si ama.

Innanzi, innanzi. Per le foscheggianti
coste la neve ugual luce e si stende,
e cede e stride sotto il pié: d'avanti
vapora il sospir mio che l'aer fende[...]
(notte d'inverno)

Tutto ciò che appare non è incontro. Se solo ci si sofferma per un istante su quel che vuol dire "presente" al di fuori di sé, al di fuori del proprio amare, la natura pare sempre crudele.


Ogni altro tace. Corre tra le stanti
nubi la luna sul gran bianco e orrende
l'ombre disegna di quel pin che tende
cruccioso al suolo informe i rami infranti[...]
(notte d'inverno)


La Natura parrebbe rispondere con silenzi:, ma sia la luna che le ombre cospirano affinché nulla tranquillizzi l'amante, mostrandogli i rami infranti come un malaugurio. Le proiezioni di ciò che si spezza, che si annulla in Natura non sono mai per il cuore dell'amante solo visioni di qualcosa che perisce, ma anzi qualcosa di eternamente vivo che eternamente si mostra come spezzato.

[...]Ed emerge il pensier su quei marosi
naufrago, ed al ciel grida: o notte, o inverno,
che fanno giù ne le lor tombe i morti?
(notte d'inverno)

L'amante giunge fino al pensiero sui morti. Fallita la via che mostrava sottilmente la via dell'eternità. Umano è il suo rapporto con la natura e umano rimane il suo rapporto con ciò che pare si spezzi. Senza alcuno scrupolo pretende di sapere dalla Natura cosa finisca, ma anche cosa sorga. In Carducci questo emerge in maniera eminente, quando uniamo Notte d'inverno con Panteismo:

[...]Io mai no 'l dissi: e con divin fragore
la terra e il ciel l'amato nome chiama,
e tra gli effluvi de le acacie in fiore
mi mormora il gran tutto - Ella, ella t'ama.
(Panteismo)

Tutto diventa dio, quando la Natura suggerisce lo splendore. Ma che lo splendore suggerito sia pari all' "amato nome", ovvero all'oggetto del proprio amore, è pur sempre un artifizio umano. La natura suggerisce ogni via e ogni coloritura degli essenti, ma non necessariamente rimanda l'uno all'altro. Nella nostra esperienza possiamo sì appellarci in poesia alla Natura per celebrare l'amato, ma pur sempre è da ricordare quanto enigma riposi nella Natura stessa e quante amorevoli pitture applica il nostro immaginario: ella, come una Monna Lisa ancor meglio dipinta, ha nel sorriso la luce dell'alba e del tramonto.
In un istante ogni cosa potrebbe sorgere come spegnersi senza che propriamente né l'una né l'altra cosa accada.

mercoledì 3 dicembre 2008

L'insostenibile leggerezza di Milan Kundera

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L'intellettuale stanco, che non ha voglia né interesse di prestare attenzione più a nessuna cosa, l'intellettuale che per qualche mese che si è lasciato con la ragazza a vent'anni ha letto qualcosa di Nietzsche e ha ben pensato di avere fra le mani un buon motivo per non spararsi, sebbene con l'atteggiamento di chi, se avesse la pistola al posto della sigaretta appoggiata alla più esistenzialista delle pose, non cambierebbe di una virgola la sua espressione. L'intellettuale per cui tutto questo è curriculum e ogni cosa da dire a mezza bocca è permessa, o perlomeno, una verità più grande di qualsiasi altra, proprio perché sorniona. Il sogno di essere un sociologo francese mai esaudito, insomma, o un comunista disilluso (o illuso?).
L'insostenibile leggerezza di Milan Kundera, autore de l'insostenibile leggerezza dell'essere (1982) è quella che lo porta ad aprire il suddetto romanzo esponendo l'eterno ritorno nietzschano come una sorta di ricorrenza calendariale; Lowith, Heidegger e Deleuze mettono doppia chiusura al loro sepolcro.
E' tutto riassunto nell'incipit, lo strazio della filosofia sotto la matita del cecoslovacco:

"Parmenide vedeva l'intero universo in coppie di opposizioni[...] uno dei poli dell'opposizione era per lui positivo[..] l'altro negativo. Questa suddivisione in un polo positivo e in uno negativo può apparirci di una semplicità puerile. Salvo in un caso: che cos'è positivo, la pesantezza o la leggerezza?Parmenide rispose: il leggero è positivo, il pesante è negativo. Aveva ragione oppure no?".

Pardon, ma questo periodo è una sequenza di validi motivi per un voltastomaco inesauribile.
Posto che la lettura di Parmenide è qui di una banalità rivoltante, è anche evidente che l'attenzione per l'essere da parte di Kundera si ferma al momento in cui intende usarne la parola nel titolo. Inoltre: la suddivisione fra polo positivo e negativo sarebbe "puerile", mentre l'unica cosa che conterebbe è se Parmenide abbia "ragione o no"? Questo uso della filosofia alla "pari e dispari" fra due ebeti fanciulli non può funzionare in genere, figuriamoci con Parmenide. Platone impiegò una vita filosofica a discutere Parmenide; Kundera in un passo a pagina 14 vuole risolvere in un un solo "interessante" dualismo il Sentiero del Giorno, l'eternità dell'essere, il fondamento dell'ontologia e tutto il "peso" del Sulla Natura del povero filosofo eleate.
Bene, sino a qui, almeno, abbiamo di che divertirci con il nostro dissenso. Ma il gusto del negativo si rattrappisce un solo secondo dopo, quando, con estrema nausea, leggiamo l'immediato proseguimento della stessa pagina su Parmenide:

"sono già molti anni che penso a Thomas[...] aveva incontrato Tereza per la prima volta circa tre settimane prima in una piccola città della Boemia[..]"

I poli negativi e positivi in Parmenide e poi... Tereza e Thomas?
Assistiamo a questo gioco di isignificanti reportage degli amori fra questi personaggi cecoslovacchi e viaggi fra Praga e Zurigo almeno fino a pagina 40, dove Kundera si risveglia dal torpore dei suoi racconti insipidi e stancanti dando, come risposta al grande problema su Parmenide posto tante pagine prima, una risposta sollevante: " a differenza di Parmenide, per Beethoven la pesantezza era a quanto pare qualcosa di positivo". Il dilemma ontologico parrebbe teoreticamente risolto con questa incontrovertibile verità Kunderiana. Ma l'autore, nella stessa pagina, fa professione di inimmaginata onestà:

"L'allusione a Beethoven era in realtà per Thomas un modo per ritornare a Tereza".

Lo sconforto. E la nostalgia per tutto che non accenni alla filosofia nel romanzo. Proseguendo, la grettezza filosofica di Kundera si deterge, nell'amato viaggio fra gli amori perplessi di Thomas (che ama Tereza), Tereza (che ama Thomas), Franz (che ama Sabina) e Sabina che ama Franz, anche se con l'interessante scarto di qualche mese di stop.
Ma ecco che a pagina 252 ci troviamo di fronte al pericolo di imparare qualcosa di più della filosofia, quando il grande Giovanni Scoto Eriugena viene originalmente ricordato non per le quattro divisioni dell'essere divino, non per la riflessione su fede e teoresi, non per il discorso sulla libertà umana ma per..."la merda" :

"Nelle considerazioni di Scoto Eriugena possiamo troare la chiave di una sorta di giustificazione teologica della merda. Gesù non defecava. [...] nella terza parte di questo romanzo ho raccontato di Sabina in piedi seminuda e con la bombetta in testa accanto a Thomas vestito. Ma c'è una cosa che ho taciuto. Lei[..] immaginò che Thomas la mettesse a sedere così com'era, con la bombetta, sulla tazza del gabinetto, dove lei liberava i propri intestini in sua presenza. Gettò Thomas sul tappeto e già urlava dal piacere".

Potremmo citare l'importanza di Descartes per la vita delle mucche nelle stalle a pagina 294, ma quanto è meglio fermarsi qui?
Il sapere bislacco, lo scrivere uterino e "originale" di chi ha vissuto il novecento come un grande "rutto" della cultura, dove il suono è culla e la digestione vendetta: tutto è possibile, quando ami Dostoevskij e Nietzsche al punto da non curarsi minimanente di ricordarne il senso; l'insostenibile leggerezza dell'essere è a tutti gli effetti uno dei più deleteri sprechi di inchiostro della storia della parola - guai dire pensiero - come del resto ogni romanzo attratto dalla filosofia per quel che basta a un titolo o a una didascalia; è forse per questo che l'uomo e la donna di pensiero innocente e inebetito recita spesso, alla domanda sulle proprie letture: "mi è piaciuto molto l'insostenibile leggerezza dell'essere", come se da questa confessione l'interlocutore dovesse trarre un sintomo di profondità dalla coraggiosa dichiarante.

Ma per carità.



p.s. da notare un'opera postmoderna ( in foto) con cui il pittore torinese Roberto Saporito (in foto) ha inteso in maniera altrettanto saporita il libro sinora citato.

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