venerdì 4 aprile 2008

frammento di un mio studio su de Sade

Il “divin Marchese” dallo spirito “più libero” e dal corpo “”più rinchiuso”.

“Sì, sono un libertino, lo riconosco:

ho concepito tutto ciò che può essere

concepito in quest’ambito ma non ho

certamente fatto tutto ciò che ho concepito

e non lo farò certamente mai.

Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino.”

(de Sade, lettera alla moglie del 20 febbraio 1791)

Nella nota frase citata in esergo il Marchese de Sade ha lasciato ai posteri una dichiarazione utile a ben raffigurarlo in guisa pari se non superiore al suo già eloquente epitaffio[1]:

Passante/ inginocchiati per pregare/ accanto al più sfortunato degli uomini/ Egli nacque nel secolo scorso/ e morì in quello presente/ il dispotismo dal volto odioso/ gli fece guerra in ogni tempo/ Sotto i re questo mostro orrendo/ s’impadronì interamente della sua vita/ Sotto il Terrore riapparve/ e mise Sade sul bordo dell’abisso/ Sotto il Consolato risorse/ e Sade ne fu ancora la vittima.

Partire dalla morte di qualcuno per sintetizzarne una biografia pare inusuale ma così non è per de Sade, morto nel 1814. Autore dalla fortuna postuma, come sovente accade per autori “non convenzionali”, è stato fatto rivivere come simbolo tutelare dai romantici, dai cosiddetti poeti maledetti, dai nichilisti, dai surrealisti e in maniera piuttosto “accentuata” ( per non dire deviata e fuorviante) dai satanisti[2] e dagli occultisti[3] molto più spesso come “eroe negativo”, o meglio come eroe del negativo. Basti pensare all’origine delle parole “sadico”; “sadismo”, per comprendere il tipo di riverbero che de Sade ha avuto sinora.

Siccome ciò si discosta dal concetto di filosofia morale “al di là del bene e del male” prima esposto, mi è parso “giusto” partire dalla morte di de Sade per come egli la intendeva.

L’idea di de Sade come “eroe negativo” scricchiola. E non poco. “Negativo e positivo”; “bene e male” sono polarità che nella vita di de Sade hanno visto forti scuotimenti, come forte è la confusione possibile nell’identificarlo da una sola parte; nella figura di eroe pare piuttosto inconguente e fuori luogo, quando si considera che in settant’anni di vita ne passò ben trenta fra carceri e manicomi; fu perseguitato da tutti i regimi: monarchia, Rivoluzione e Napoleone. Nato il 2 giugno 1740 a Parigi, Donathien-Alphonse-Francois de Sade attraversò il secolo dei grandi cambiamenti, come del resto ne visse pure lui: nato con l’illuminismo, giovane capitano della Cavalleria Reale partecipa alla “guerra dei sette anni” (1756-1763), dopo la quale sposa Renée de Montreuil. Nello stesso anno (1763), dal congedo dalla Cavalleria e dal matrimonio ha inizio l’epopea tormentata di questa singolare personalità dalla reputazione di libertino, quando viene rinchiuso nel torrione di Vincennes con l’accusa di “deboscia reiterata”. Libertino e vizioso come molti all’epoca soprattutto nella sua casta impunita, visse e fu a tal proposito un’eccezione: incarcerato svariate volte con accuse di sodomia e varie pratiche tipiche del libertinaggio di certo non avulse dalle abitudini di molti che tuttavia non valsero loro eguali persecuzioni. Evidentemente il successo retroattivo di quest’autore è da rintracciarsi nell’ottima capacità artistica nello scrivere, di cui, a dispetto di quanto si parla del suo libertinaggio, si accenna ben poco. Se v’è un risvolto positivo - e vi è - nel suo terribile stato di eterno prigioniero è proprio quello che gli ha reso possibile di esprimersi come ottimo scrittore e filosofo, oltre che come “sporcaccione”, come invece era ritenuto essere soprattutto dalla suocera, che per prima lo volle rinchiuso a Vincennes. I rapporti con la moglie, come testimonia la corrispondenza, erano invece buoni e sinceri.

Il “divin Marchese”, come lo ha appellato Charles Baudelaire, ha avuto tra i suoi detrattori Ugo Foscolo[4], Chateaubriand, Claudel. Apprezzamenti e stima invece, oltre che da Baudelaire, da Stendhal, Flaubert, Wilde, Nietzsche, Dostoevskij, Kafka, Camus e diversi altri. Se il “lasciapassare” di queste autorità intellettuali non ha comunque riscosso grande successo nelle storie della filosofia “ufficiali” del ‘900 e nell’editoria che ha più volte ostacolato per lo più la pubblicazione dei titoli, Benedetto Croce ( che è invece reputatissimo – a buona ragione – dalle une e dall’altra ) ha osservato, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue: “Il Marchese de Sade asserì dure e coraggiose verità, di quelle verità da cui si suol torcere il viso, quasi che in tal modo si riesce ad annullarle”.

Se per Apollinaire abbiamo a che fare con “lo spirito più libero di tutti i tempi”, per Jean Paulhan egli è “in ogni caso, il corpo più rinchiuso”.[5]

E’ parso particolarmente importante citare in esergo il passo della lettera alla moglie. Innanzitutto, per mettere in luce il volto più che umano dell’uomo che si rivolge con onestà alla donna della propria vita, pur confessandole verità cocenti. In secondo luogo, per la data (1791), la stessa in cui l’opera “Justine” venne pubblicata, ove, come ora verrà esposto, proprio alla Donna e al suo erotico rapporto con la natura viene affidata l’esemplarità del manifestarsi delle passioni – e delle loro verità – a fronte delle quali la filosofia morale deve sapersi dimostrare sufficientemente rabdomante.


[1] Che poi decise di non pubblicare, per sfiducia nei confronti di chi, a suo parere, non l’avrebbe comunque mai inciso. Ciò può essere indicativo per poter immaginare il tipo di rapporto che il de Sade uomo aveva con gli effetti del de Sade autore sui suoi contemporanei: in un certo qual senso nemmeno la sua morte aveva “legittimità” di poter essere espressa in un qualcosa scritto da egli stesso.

[2] Cfr. Anton Szandor LaVey (1930 – 97), fondatore della Chiesa di Satana, che legge de Sade rintracciando nei suoi scritti tratti simili ai propri fondamenti ideologici che hanno centralità nella figura di Satana visto come archetipo più che come entità reale. Questo mio articolo vorrebbe porsi al di là di quelle che potrebbero essere interpretazioni affrettate e fin troppo esasperate da suggestioni, anche se aderenti al filosofo in questione. Stessa vale per gli occultisti nella seguente nota.

[3] Cfr. Antonio D’Alonzo. L’Occultismo moderno tra Eliphas Lévi ed Aleister Crowley. D’Alonzo mette in relazione i principi thelemici del celebre occultista Crowley (1875-1947) con l’ “ateismo” di de Sade.

Analoghi riferimenti “esoterici” vengono fatti da Fulvio Rendhell in “Lilith la sposa di Satana nell’Alta magia” dove la figura di Lilith viene paragonata alla Juliette di de Sade (Juliette è la sorella di Justine, ovvero colei di cui mi occuperò in questa sede) e da Austin Osman Spare (1889-1956), occultista appartenuto all’Ordine Ermetico dell’Alba d’Oro, il quale lega de Sade alle sue teorie sulla magia sessuale.

[4] A quanto pare si vergognava addirittura di pronunciarne il nome.

[5] Chiaramente ho intitolato il paragrafo dall’ensemble di queste citazioni.

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