domenica 9 marzo 2008

AMMAZZARE IL TEMPO?

AMMAZZARE IL TEMPO ?

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Una distopia incerta e autocritica

“Ammazzare il tempo”. Quanto, in questo apparentemente semplice “modo di dire”, si nasconde invece un modo del dire, del nostro dire circa il nostro rapporto con la temporalità.

I problemi ad esso annessi nel contesto della civiltà della tecnica sono stati estesamente presi in esame dal filosofo Gunther Anders, ancora non considerato appieno per il suo merito.

Ho infatti trovato nel secondo tomo della grande opera L’uomo è antiquato una considerazione molto affine ad alcune mie riflessioni: “l’obiettivo asintotico dei nostri sforzi odierni è la soppressione del tempo”. Ecco che quel modo di dire trova in questo caso una sua espressione filosofica; “ammazzare il tempo” è il proposito dell’uomo nell’età della tecnica, di quel “civilizzato” immerso nella ruota sfrenata del fare. Ma il movente, di questo desiderato delitto, che contorni assume in questo tipo d’uomo? Anders sottolinea: “il desiderio è lasciarci il più rapidamente possibile qualcosa alle spalle perché tutto, in quanto dura, dura troppo e per questo motivo è qualcosa che ruba tempo”. In questa cornice l’uomo è gettato nella insofferenza più marcata per il divenire, ovvero per quella struttura del mondo ritenuta inequivocabile. Il divenire non solo angoscia l’uomo, ma lo rende dipendente da esso. Si vuole uccidere ciò che ci fornisce le armi. Il tempo è qualcosa che “va guadagnato”, e l’unico modo per ottenerlo è ridurlo, quando lo si ha, ad un minimum. Questo il paradosso schizofrenico dell’uomo nell’età della tecnica. Come si lega quest’uomo all’ubermensch nietzscheano? Che tensione verso la morte cambia (se cambia) rispetto alla tradizione, nella sua essenza? E’ proprio questo l’uomo che supera la convalescenza di Zarathustriana memoria?

Rimango nel dubbio, e rammento le sue sagge parole proprio ne Il convalescente, quando viene interpellato dall’aquila e il serpente: “L’uomo è verso se stesso il più crudele degli animali; e quando udite coloro che chiamano se stessi ‘peccatori’ e ‘portatori di croce’ e ‘penitenti’, badate di non farvi sfuggire la voluttà contenuta in questi lamenti ed accuse!”.

Ad ogni modo Gunther Anders, in una felice considerazione, avvicina l’uomo odierno più a colui che vive “nel paese della Cuccagna, cioè senza mediazione, cioè senza più aver bisogno di gettare un ponte di tempo tra desiderio e appagamento.” E altrove: “con l’abbreviarsi delle nostre azioni, appunto, guadagniamo una quantità di tempo, di cui non sappiamo fare nulla, talmente tanto tempo che, terrorizzati dall’horror vacui, saremo costretti a suddividere questo vacuum in attività il più possibile numerose che cancellano il tempo”. Ma il grande paradosso ottimamente fatto emergere dal nostro autore riguarda come in tale quadro s’ inscriva il senso della morte dell’uomo stesso. L’età della tecnica (generata dall’uomo) vuole “ammazzare il tempo” per la fretta di procurarsene sempre più, ma inserisce gli uomini stessi nelle sue trame meccaniche, sino a non far più dell’uomo un essere mortale, bensì “uccidibile”. Ecco il pregevole passo del 1979: “non è un’esagerazione sostenere che sono sempre meno quelli di noi che muoiono semplicemente per stanchezza di vivere o per la debolezza della vecchiaia. Semplici casi di morte sono ormai antiquate rarità. Per lo più la morte viene prodotta. Si è fatti morire. Noi uomini di oggi non siamo mortali; piuttosto, in primo luogo, uccidibili”. Il nostro morire è parte dell’apparato tecnico, un suo momento prestabilito e rotante. Ma così è possibile per l’uomo “ammazzare il tempo”, o forse, all’inverso, è prima lui che uccide noi tutti? La questione rimane aperta.

Fatto rimane che l’ipertrofia da tempo, questa forma di bulimia esistenziale porta fino al bisogno di ucciderlo, in un circolo vizioso che ha più del patologico che del soteriologico (ammesso che fra le due cose non ci sia mai stata parentela) – non c’è il sentimento dell’assassino aristocratico, di colui che uccide per qualcosa di superiore, per salvarsi e redimersi dall’infimo – e chissà che questo piano del soggetto circa il suo rapporto con il tempo non corrisponda ad un piano metastorico, per cui all’Uomo universalmente inteso è dato, progressivamente, (voler) uccidere la sua fonte di sostentamento, Iddio, Natura, Tempo che sia…

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