lunedì 3 marzo 2008

RIVALUTARE QUEL MAGICO FOLLE DI GEORG CHRISTOPH LICHTENBERG


Esempio di feroce ironia, acuto creatore di verità friabili e pazze, Lichtenberg (nato nel 1742) fa parte sicuramente della schiera dei filosofi troppo poco valorizzati dalla critica e dalla storiografia. Siamo di fronte a un selbstdenker, un pensatore autonomo alla maniera del Nietzsche, che dall’alto della sua idiosincrasia per i complimenti ad altri al di fuor di lui, non ha però mai smesso di considerare gli aforismi del Nostro “fra i quattro, cinque libri della letteratura tedesca degni di essere letti e riletti”. Ma pure da Kant, Schopenhauer, Goethe, Wagner era letto e amato, con una fortuna postuma ed illustre tipica proprio di questi eremiti del pensiero, così maltrattati dalla banalità della loro vita quotidiana, almeno fino a quando qualche bizzarria creata ad arte non la riaccenda. Una vita giovanile passata fra il lavoro di correttore di bozze e losche taverne, pomeriggi passati a costruire cannocchiali per poter guardare alla sera le cameriere che si spogliavano nel palazzo di fronte, almeno fino a quando non si innamorò di una mendicante per strada, che romanticamente corteggiò e un po’ meno romanticamente sposò :“il matrimonio ti fa diventare un animale a quattro zampe”. Etilista – artista del bere, si vantava di viaggi mai fatti, da vecchio dongiovanni diceva di voler sedurre “la madre di Dio”, appassionato di scheletri per lezioni d’anatomia, passò la vecchiaia ad assistere a ben 113 funerali di gottinghesi seduto comodamente nel suo giardino. Si dice che al momento della sua morte stesse confabulando in maniera incomprensibile a proposito di stelle cadenti.

Rendiamogli onore tramite svariate sue scorribande:

“I re credono spesso che quello che fanno i loro generali e i loro ammiragli sia ispirato da patriottismo e da amore per il sovrano. Ma spesso la vera molla delle grandi azioni è una ragazza che legge il giornale.”

“Che nell’uomo non ci sia nulla di speciale lo dimostra soprattutto la prolissità della giurisprudenza”.

“Se nascesse un altro messia, difficilmente potrebbe fare tanto bene quanto una tipografia”.

“La gente che non ha mai tempo fa pochissimo”.

“Se i pesci sono muti, le pescivendole sono in compenso loquacissime”.

“L’uomo dei tempi antichi sta a quello moderno come un girarrosto a un orologio a ripetizione”.

[diario personale del 1797, composto da una sola pagina, con su scritto ciò]“Il giorno 24 mi è nato un figlio”.

“Se potessimo esprimerci con la stessa completezza con cui sentiamo le cose, gli oratori incontrerebbero meno riluttanza e gli innamorati meno crudeltà”.

“Il mondo non dev’essere tanto vecchio, visto che gli uomini non hanno ancora imparato a volare”.

“Quell’uomo era così intelligente che non lo si poteva quasi utilizzare per niente al mondo”.

“Tutto si affina: un tempo la musica era frastuono, la satira una pasquinata. E mentre oggi diciamo ‘permetta, di grazia’, un tempo si rifilava uno scapaccione”.

[sul bere]” La pinica, ossia la scienza di viaggiare con profitto nei paesi al di là della bouteille(…)a me pare che non ci sia bisogno di forti lenti di ingrandimento per convincersi che una trattazione filosofica di questa teoria sarebbe di estrema utilità per il genere umano”.

“Molte cose, che ad altri dispiacciono soltanto, a me fanno male”.

“L’uomo, l’animale che affoga in una lacrima”.

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